La beata speranza della gloria di Dio

La beata speranza
della gloria di Dio

di Ettore Panizon

 

La nostra fede – scrive l’apostolo Pietro – è ben più preziosa dell’oro (1Pietro, 1:7). Infatti, senza fede non possiamo piacere a Dio (Ebrei, 11:6). Anzi, tutto quello che facciamo senza fede è peccato (Romani, 14:23). Viviamo perché crediamo (Abacuc, 2:4; ripreso in Romani, 1:17; Galati, 3:11; Ebrei, 10:28) e saremo salvati solo se continuiamo a credere (Matteo, 24:13). La fede però non è un valore in sé. Se non producesse alcun altro effetto nella nostra vita, rimarrebbe una cosa morta (Giacomo, 2:17 e 26).

germoglio nel desertoPietro, alla fede – fondamento della nuova vita – esorta ad aggiungere altre cose, necessarie per arrivare all'amore: la virtù (determinazione), la conoscenza (delle cose di Dio), la temperanza (continenza, autocontrollo), la pazienza, la pietà (devozione verso Dio) e l’amicizia fraterna (2Pietro, 1:5-7).
Paolo, parlando delle cose che dureranno per sempre, nomina anche lui la fede per prima e l'amore per ultimo, come la cosa più grande, più importante (1Corinzi, 13:13). Tra la fede e l’amore, Paolo mette la speranza, che, in qualche modo, raccoglie e sintetizza tutte le cose elencate da Pietro.
La fede sta alla base di tutto perché, se non crediamo a chi ci parla, le parole che ci vengono dette non hanno alcun effetto nel nostro cuore. Se invece sappiamo che Colui che ci parla non può mentire, allora le parole che ascoltiamo cambiano la nostra realtà interiore, perché sappiamo che quelle cose sono vere nell’eternità, cioè avverranno di sicuro. Non si tratta quindi solo del futuro. L’aspettativa di ciò che avverrà domani è anche il nostro presente. Se ci aspettiamo di morire di una morte eterna, possiamo anche divertirci pazzamente, ma non avremo mai pace dentro di noi. Se invece crediamo a Colui che ha detto che ci risusciterà nell'ultimo giorno e che vuole che noi siamo dove lui è, anche se adesso stiamo male e siamo pieni di problemi, la certezza di questa realtà futura entra dentro di noi e produce in noi un desiderio nuovo, che è appunto la speranza. Per questo, la speranza dipende dalla certezza delle cose in cui crediamo.

"Così Dio, volendo mostrare con maggiore evidenza agli eredi della promessa l'immutabilità del suo proposito, intervenne con un giuramento; affinché mediante due cose immutabili, nelle quali è impossibile che Dio abbia mentito, troviamo una potente consolazione noi, che abbiamo cercato il nostro rifugio nell'afferrare saldamente la speranza che ci era messa davanti. Questa speranza la teniamo come un'ancora dell'anima, sicura e ferma, che penetra oltre la cortina, dove Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato sommo sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec" (Ebrei, 6:17)".

La speranza è così anche una condizione dell’amore. Come potrebbe esserci amore senza il desiderio di raggiungere la persona amata? In ebraico, la parola speranza (tikvah) deriva da una radice (qof+wav+he) che significa "tirare, tendere" e difatti, nella sua forma base, kavah, significa "fune" (del resto, anche l'taliano attesa contiene il senso di tensione). Se crediamo alla parola di Dio amiamo Colui che ci parla e veniamo attirati verso di lui (Giovanni, 12:32).

"Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi. Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. Benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime." (1Pietro 1:3-9).

La salvezza dell'anima si accompagna alla gioia soprannaturale che deriva dall'aver creduto alla promessa della vita eterna, la nuova vita che comincia quando cominciamo a conoscere Dio, perché, come ha detto il Signore Gesù, in questo consiste la vita eterna: che conosciamo l'unico e vero Dio (Giovanni, 17:3). Questa gioia è una speranza in cui possiamo rallegrarci sempre (Romani, 12:12, Filippesi, 4:4).
Pietro parla di una speranza viva (1Pietro, 1:3). Non si tratta infatti di sperare nelle cose che si vedono e che sono solo per un tempo, ma in quelle che non si vedono, e che sono eterne (2Corinzi, 4:18). La speranza della gloria di Dio non è una speranza incerta, come un sogno o un desiderio di cose che abbiamo visto o immaginato, cose che potrebbero forse avvenire, ma anche no. La speranza in Dio è speranza di ciò che non può non avvenire, ma anche di ciò che ancora non si può vedere.
Come la fede è certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono (Ebrei, 11:1), così anche la speranza è tale perché ciò che speriamo non lo possiamo vedere: "la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza" (Romani 8:24-25).

Se la speranza di vedere realizzate le cose che desideriamo in questa vita ci mette ansia, perché si tratta di cose che devono avvenire nel tempo e non sappiamo se potranno trovare una sistemazione nel tessuto dello spazio e del tempo (né se faremo in tempo a vederle), la speranza della gloria di Dio è al contrario una speranza senza fretta (per la nostra carne), anche perché sappiamo che il nostro desiderio si realizzerà appieno solo quando lasceremo questa vita (Deuteronomio, 5:26; Giobbe, 19:26; 2Corinzi, 5:8). È una speranza che rimane viva proprio perché, in quanto speranza dell’eternità, sa di non potersi realizzare nel tempo.
Il Messia era atteso dalla maggioranza delle persone come colui che avrebbe liberato Israele dalla dominazione romana. Ma non era per questo che Gesù è stato mandato al popolo di Israele e molti rimasero delusi e si scandalizzarono. Quando il Signore Gesù ritornerà per risuscitare quelli che sono morti credendo in lui e per raccogliere quelli che, ancora in vita, gli saranno rimasti fedeli, sarà per portarli in cielo con lui (1Tessalonicesi, 4:17) in un corpo interamente trasformato (1Corinzi, 15:52). Mentre tutto quello che conosciamo oggi sarà consumato dal fuoco, "noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia" (2Pietro, 3:13).

Ora, quando si realizzano i desideri di questa vita, ci tocca immediatamente fare i conti con la cosiddetta "realtà", allora invece, come già adesso nella misura in cui crediamo alla parola di Dio, sarà la stessa realtà a essere trasformata ai nostri occhi e a riempirci di stupore: come accadeva ai reduci della cattività babilonese, ci sembrerà che stiamo sognando (Salmi, 126:1). "La beata speranza e l'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù" (Tito, 2:13) consistono nel'appagamento del desiderio di una realtà completamente nuova, in cui le cose a cui siamo abituati e che in questa vita vengono considerate tanto importanti non avranno più lo stesso senso, né lo stesso valore. La realizzazione dei desideri di ciò che si può vedere o immaginare oggi ci dà una gioia che finisce già prima di cominciare, anche perché quello che avviene nei fatti non corrisponde mai esattamente a quello che ci aspettavamo nei nostri sogni. Così, se mettiamo la nostra speranza in ciò che possiamo immaginare, non saremo mai completamente contenti, cioè, alla fine, non raggiungeremo mai la felicità che abbiamo tanto cercata. Rimarremo sempre in attesa di qualcosa che deve ancora arrivare ma che non arriva mai, in un'attesa sempre più stanca e sempre meno convinta.

Sappiamo che se guardiamo con la nostra intelligenza (la nostra conoscenza del bene e del male), le cose non vanno mai tutte bene. Del resto, se giudichiamo il bene e il male secondo la conoscenza che ne possiamo avere, quello che è "bene" per uno è "male" per l’altro. Per questo guerre e lotte sociali non cessano mai.
Se guardiamo e speriamo seguendo i nostri desideri egoistici, non ci mancheranno ragioni per rattristarci. Nemmeno mancheranno poveri attorno a noi (Matteo, 26:11), persone cioè che stanno materialmente molto peggio di noi e il cui malessere si trasferisce in qualche modo anche su di noi. Vivendo "in un tempo di strage" (Giacomo, 5:5), anche se stessimo bene noi, come potremmo vivere felici e contenti del mondo in cui viviamo?
Ci sono tante cose che speriamo che cambino, ma che vediamo sempre lì e che spesso peggiorano: malattie che non passano, persone che non smettono di ferirci, guerre che non finiscono mai, comportamenti altrui e anche nostri che si ripetono immutabilmente. Desidereremmo tanto trovare qualcuno che ci capisca profondamente, e invece ci sentiamo per lo più incompresi e con la maggior parte delle persone ci rassegniamo a rapporti superficiali. Anche noi vorremmo essere diversi da quello che siamo e fare più attenzione alla vita degli altri. Eppure, per vizio o per necessità, pensiamo sempre tutti innanzitutto al nostro interesse. Come Paolo, tanto più tutti noi, possiamo chiederci: chi ci libererà da questo corpo di morte? (Romani, 7:24). È chiaro che non ci possiamo salvare da soli. Il nostro aiuto non può venire dalle creature, ma solo da Colui che fa i cieli e la Terra (Salmi, 121: 2).

Certamente il nostro naturale egoismo e la nostra fondamentale impotenza non sono una buona ragione per arrendersi al male e disinteressarsi del prossimo. Il Signore anzi ci esorta a prenderci cura gli uni degli altri e a non dimenticare i poveri (Galati, 2:10), ci dice piuttosto di lavorare per venire incontro ai bisogni degli altri (Efesini, 4:28), in particolare – ma non solo – di quelli che hanno creduto (Matteo, 25:31-46 e Galati, 6:10). Questo non significa però che dobbiamo darci da fare per costruire un mondo migliore. Sappiamo che tutto il mondo giace sotto il potere del maligno (1Giovanni, 5:19). E "quando le fondamenta sono rovinate, che cosa può fare il giusto?" (Salmi, 11:3). Se speriamo in quello che possiamo fare noi (fosse anche con l’aiuto di Dio), rimarremo presto delusi e il nostro cuore prima o poi si stancherà di sperare.
Anche se certamente il Signore prima o poi ci libera da tutti i nostri travagli (Salmi, 34:19), ci guarisce dalle nostre malattie (Esodo, 15:26, Giacomo, 5:14-15) e aggiusta anche i nostri danni (come ha fatto con l’orecchio di Malco reciso dalla spada di Pietro di cui si parla in Luca, 22:51), c'è sempre qualcosa che non va come dovrebbe, e anzi più di qualcosa. Il male attorno a noi cresce ogni giorno, dovunque guardiamo vediamo disastri. Tanto che molti si domandano come sia possibile che Dio esista davvero. Ma il Signore ce l’ha detto: il crimine sarà moltiplicato e per questo la carità della gente si raffredderà (Matteo, 24:12).

In realtà, il Signore ci aiuta sempre, perché ha misericordia della nostra debolezza e non è mai sordo al grido del nostro cuore, ma non solo per risolvere i nostri problemi materiali. Anche perchè a noi sembra sempre che risolto il principale problema in cui ci troviamo, abbiamo risolto tutti i nostri problemi ("oh, se almeno..."), ma l'esperienza ci insegna che non è affatto così.
Dopo avere miracolosamente sfamato migliaia di persone che per stare ad ascoltarlo erano rimaste senza mangiare, ha anche sgridato le stesse persone quando lo cercavano per ricevere dell’altro pane. "Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati. Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà" (Giovanni 6:26-27).
Dio ci vuole insegnare che noi uomini non viviamo solo delle cose che, come il pane materiale, si consumano nel tempo, ma che la nostra vita deriva innanzitutto dal nostro rapporto con l'eternità (Deuteronomio, 8:3; Matteo, 4:4).

Anche Paolo ha scritto che "se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini" (1Corinzi, 15:19). Se invece speriamo nel Signore perché cerchiamo lui, certamente la nostra speranza non sarà delusa (Proverbi 8:17, 24:14 e 23:18; Matteo 7:8). Mettendo in Dio il nostro desiderio, avremo senz’altro ciò che il nostro cuore desidera, com'è anche scritto nei Salmi: "Trova la tua gioia nel Signore, ed egli appagherà i desideri del tuo cuore." (Salmi, 37:4).
"L’attesa differita fa languire il cuore, ma il desiderio realizzato è un albero di vita." (Proverbi, 13:12). Se il venir meno della speranza ci stanca profondamente, quando veniamo invece accertati nella nostra speranza riceviamo una grandissima forza. "I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano" (Isaia, 40:30-31). Il desiderio realizzato, "l’albero della vita che è nel paradiso di Dio" (Apocalisse, 2:7) è Cristo, "speranza della gloria" (Colossesi, 1:27). "Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta" - possiamo cioè incoraggiarci nella certezza che non ci stiamo affaticando per niente - "fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta davanti egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio" (Ebrei, 12:1-2).

Paolo scrive che noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per quelli che amano Dio (Romani, 8:28). Non certo perché Dio abbia riguardi personali (Deuteronomio, 10:17) e faccia andare bene le cose solo per coloro che lo amano; Gesù ha detto anzi che il Padre "fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Matteo, 5:46) ed è scritto anzi che chi vuole vivere piamente in Cristo sarà certamente perseguitato (2Timoteo, 3:12; vedi anche Marco, 10:30 e Luca, 23:31). Piuttosto perché, se amiamo Dio, possiamo sapere che tutte le cose sono state fatte per il nostro bene, anche quelle che non vorremmo accadessero. Conoscendo l'amore di Dio sappiamo che ciò che importa non è che riesca l’uno o l’altro dei nostri progetti, né che si aggiustino tutte le cose che ci fanno stare male in questa vita, ma piuttosto che aumenti in noi l’amore di Dio, quell’amore che è paziente, benevolo, che non invidia, che non si vanta, non si gonfia, né si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce…, quell’amore che soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa e sopporta ogni cosa (1Corinzi 13:4-7). Avendone fatta esperienza, seppure soltanto come un assaggio, questo amore diventa l’oggetto della nostra speranza, una speranza che è anche piena di certezza, perché abbiamo creduto che questo stesso amore governa l’Universo e sappiamo perciò che non potremo rimanere delusi, che anzi Dio "può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo" (Efesini, 3:20).

"Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l’esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Romani 5:1-8).

Il Signore ci ha amato quando eravamo ancora lontani da lui e noi lo abbiamo sentito vicino. La sua bontà ci ha portato e ci porta a ravvederci (Romani, 2:4). Per questo ci è stata data "la caparra dello Spirito" (2Corinzi, 1:22 e 5:5), perché possiamo gustare la bontà di Dio (Salmi, 34:8) ed essergli riconoscenti (Ebrei, 12:28). Avendo un anticipo di questa bontà, possiamo desiderare sempre di più di incontrare il nostro Signore e il nostro Sposo.
Ai credenti di Filippi Paolo scrive "Se dunque v’è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d’amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento" (Filippesi, 2:1-2). Esiste infatti un "sentimento di Cristo" (Filippesi, 2:5) e questo sentimento lo possiamo già provare nel nostro cuore, da quando abbiamo creduto alla parola di Dio. Per questo Paolo, cioè lo Spirito Santo attraverso di lui, può fare appello alla realtà del sentimento di Cristo e anche alla speranza che questo sentimento cresca nel cuore di tutti noi che leggiamo la Sacre Scritture. Perché abbiamo gustato che questo sentimento è buono e così, avendo conosciuto l'amore di Dio, possiamo anche ricambiarlo e sperare che cresca in noi. Anche se non siamo affatto perfetti, possiamo aspirare a ricevere sempre di più di questo amore di Dio, che è "il vincolo della perfezione" (Colossesi, 3:14).

Gesù ha detto: "siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Matteo, 5:48). Il male che ci avviene (e anche quello che ci viene fatto, apposta o per sbaglio, dagli uomini) possiamo riceverlo come un bene, non rispondendo più con sentimenti di vendetta, né imputando più a Dio disattenzione o accanimento, ma ringraziandolo anzi per tutte le cose, com'è la sua volontà per noi che siamo in Cristo (1Tessalonicesi, 5:18).
"Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia pienamente l'opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti" (Giacomo 1:2-4).
Sappiamo che con le nostre forze non possiamo arrivare a questa perfezione, ma sappiamo anche che il Signore, che ha iniziato un'opera in noi, non la lascerà incompiuta (Filippesi, 1:6). Infatti "è lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini, 4:11-13).

Nel libro del profeta Isaia è scritto: "Mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire, mai occhio aveva visto che un altro dio, all'infuori di te, agisse in favore di chi spera in lui" (Isaia 64:4). Paolo trascrive lo stesso passo mettendo ancora più l'accento sulla novità di quello che ci aspetta: "Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano. A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" (1Corinzi, 2:9-10). Perché Dio sa donare a piene mani a tutti quelli che lo cercano (Giacomo, 1:5; Ebrei, 11:6) e a coloro che sperano in lui ha fatto conoscere la sua salvezza: Cristo in noi, la speranza della gloria (Colossesi, 1:27). Non dobbiamo perciò rassegnarci alla nostra presente condizione, né a quella delle persone attorno a noi, nella chiesa e anche fuori. Se speriamo in Dio, la nostra tiepidezza, il nostro scarso interesse per le cose dello Spirito, le impurità del nostro cuore e le continue spinte della carne non sono cose destinate a durare per sempre.

"Ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'egli è puro" (1Giovanni, 3:2-3).

La speranza di vedere la gloria di Dio ci sprona a cercare quella "santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore" (Ebrei, 12.14). Se amiamo l’apparizione del Signore (2Timoteo, 4:8) e cioè viviamo per incontrarlo, non saremo né pigri, né sterili nella conoscenza di Cristo (2Pietro, 1:8), mentre attendiamo e affrettiamo "la venuta del giorno di Dio, in cui i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno!" (2Pietro, 3:12). Aspirando alla perfezione dell’amore di Dio ci rendiamo infatti disponibili all’opera necessaria perché il Signore ritorni.
L’attesa del ritorno del Signore non è l’attesa di qualcosa in cui non abbiamo parte alcuna, perché il Signore tornerà quando il suo popolo sarà completo e pronto per riceverlo, cioè quando sarà stata resa testimonianza del vangelo a tutte le famiglie della terra (Matteo, 24:14) e quando noi che abbiamo creduto spereremo davvero con tutto il cuore di incontrarlo al più presto.
I tempi e il giorno del ritorno di Cristo saranno i momenti più difficili di tutta la storia dell’umanità (Matteo, 24:21). Ma, se rimarremo fedeli, la speranza di Dio ci darà forza. Scrive il profeta Abacuc alla fine del suo libro: "Infatti il fico non fiorirà, non ci sarà più frutto nelle vigne; il prodotto dell’ulivo verrà meno, i campi non daranno più cibo, le greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nel Signore, esulterò nel Dio della mia salvezza. Dio, il Signore, è la mia forza; egli renderà i miei piedi come quelli delle cerve e mi farà camminare sulle alture." (Abacuc, 3:17-19).

Questo è stato il sentimento dei santi che ci hanno preceduto ed è lo stesso sentimento che Dio vuole mettere anche nei nostri cuori, perché il Signore è lo stesso, ieri oggi e in eterno (Ebrei, 13:8). Lo Spirito della santità, che è lo Spirito di Gesù Cristo, ci dà speranza di ricevere queste cose nuove, che la nostra carne non può neanche immaginare, perché non ne ha mai fatto esperienza (e nemmeno può farla); ma che possiamo aspettarci con certezza di avere, perché è Dio che ce le ha promesse.
Per questo Gesù chiama beati coloro che sono nel dolore e non hanno qui in terra la loro soddisfazione (Matteo, 5:4) e ci rivela che chi qua sembra spassarsela in mille piaceri e comodità, non è per niente da invidiare ma anzi da compatire, perché ha già ricevuto i suoi beni in questa vita e nell'eternità non potrà essere consolato (Luca, 16:25).
Mentre chi vive per le gioie di quaggiù vive nella nostalgia di ciò che ha avuto e nel rammarico di non aver potuto avere ciò che non ha avuto, chi vive per il cielo sa che quello che non ha ricevuto nel tempo, lo riceverà nell’eternità: già in questa terra, nel rapporto con Dio e con il suo popolo, e poi nel cielo, come l'eredità incorruttibile che spetta ai figli di Dio, coeredi con Cristo della gloria del Padre (Romani, 8:17, 2Corinzi, 4:17).